Thuram e la polemica del sorriso: quando il calcio dimentica di essere anche vita

Thuram e la polemica del sorriso: quando il calcio dimentica di essere anche vita

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Redazione di Zona
set 19, 2025 • 3 min read

La scorsa giornata di campionato ci ha regalato una partita con tanti gol e controversie. Ma è davvero fondata la polemica sulla risata di Marcus Thuram?

La sfida tra Juventus e Inter, decisa dal gioiello di Adzic, è stata una partita intensa, vibrante, che ha tenuto con il fiato sospeso fino all’ultimo. Eppure, come spesso accade nel calcio italiano, a far discutere non sono stati soltanto i gol o le giocate, ma un dettaglio diventato miccia di polemiche: il sorriso di Marcus Thuram durante il check VAR dopo il 4-3.

Le immagini hanno mostrato l’attaccante nerazzurro parlare con suo fratello Khéphren, coprendosi la bocca con la maglia per non farsi leggere il labiale, e poi lasciarsi andare a una risata. Tanto è bastato per accendere i riflettori di una parte di tifoseria già esasperata, che ha visto in quel gesto una mancanza di rispetto nei confronti della propria squadra e dell’ambiente interista. Ma davvero un sorriso in campo può diventare un caso nazionale?

Il peso del cognome e la leggerezza del momento

Le polemiche hanno preso subito di mira la famiglia Thuram, dimenticando che Marcus e Khéphren sono prima di tutto due fratelli cresciuti insieme all’ombra di un padre come Lilian, campione del mondo e figura di riferimento anche fuori dal campo.

Chi li conosce sottolinea come il loro rapporto sia naturale, spontaneo, persino inevitabile. La battuta di Marcus – “Vai a dire che hai fatto fallo” – era un modo per sdrammatizzare l’attesa di una decisione arbitrale che non dipendeva da loro. Nulla di più.

Eppure, la reazione di una parte del pubblico è stata dura: insulti social, accuse di scarso attaccamento alla maglia, fino all’assurda provocazione di invitarlo a trasferirsi alla Juventus, dove gioca suo fratello. Una lettura superficiale, smentita dai numeri: Marcus è partito a razzo, tre gol in tre partite, capocannoniere della Serie A e miglior uomo squadra dell’Inter in questo avvio.

Sicuramente, ridere subito dopo aver subito il gol del 4-3 contro la tua acerrima rivale non è stato certo il massimo che Marcus potesse fare davanti alle telecamere. È comprensibile che qualcuno possa storcere il naso. Detto questo, la vicenda resta pur sempre una sfumatura di atteggiamento, contestarlo per una risata significa perdere di vista l’essenziale.

Rispetto, esultanze e doppi standard

La questione ha toccato anche il tema delle esultanze. Marcus, dopo il gol del 2-3, ha sorpreso tutti non esultando. L'attaccante nerazzurro si era limitato al suo classico gesto di portarsi un dito indice alla testa e l'altro sull'avambraccio. Khéphren, autore del 3-3, aveva esultato con molto più trasporto, andando anche ad urlare alla telecamera il suo nome e cognome.

Da qui un’altra ondata di commenti: un fratello ha voglia e l'altro no? Chi ci mette il cuore e chi meno? Ma è davvero questa la cosa importante?

La realtà è che una partita come Juventus-Inter 4-3, non può passare in secondo piano per una banalità del genere. Abbiamo semplicemente visto due modi diversi, entrambi legittimi, di vivere lo stesso sport.

Un caso costruito dal nulla

Il paradosso è che la prestazione dei Thuram, e soprattutto quella di Marcus, è stata tra le più brillanti in campo. Eppure, la narrativa si è spostata su un presunto “affronto” a tifosi e compagni, trasformando un sorriso in un atto quasi di sacrilegio.

Forse è il sintomo di un ambiente calcistico nervoso, dove la ricerca della polemica spesso supera il piacere del gioco. Come se non bastassero gli errori arbitrali o le scelte tecniche, si arriva a mettere sotto processo la leggerezza di un ragazzo che, numeri alla mano, rappresenta oggi una delle poche certezze dell’Inter.

Guardare al campo, non alle smorfie

Marcus Thuram non ha bisogno di giustificarsi: i suoi gol, la sua leadership silenziosa e il suo rendimento parlano per lui. Contestarlo per un sorriso significa dimenticare che il calcio è anche emozione, leggerezza, vita vissuta.

Alla fine, resta una domanda: vogliamo un calcio fatto solo di rabbia e di muscoli tesi, o possiamo accettare che esista anche un modo diverso – persino sorridente – di vivere una partita?

A cura di: Nicolò Mencarini.