
Milan, Boban spara a zero sul passato in società: "L’addio di Maldini? Una vergogna. Avevamo preso Dani Olmo e Szoboszlai..."

🎙️ Intervenuto sul canale YouTube "Milan Hello" di Andrea Longoni, Zvonimir Boban è tornato a parlare del Milan. Un’intervista che parte dal presente, ma affonda nel passato recente della società rossonera: decisioni sbagliate, addii dolorosi e verità mai dette fino in fondo.
Ecco i passaggi più significativi👇
C'è tanta differenza oggi tra Inter e Milan? E a che livello?
"Quando guardiamo i risultati ovvio. Quando guardiamo la società ovvio. Quando guardiamo nel complesso, quello che rappresenta oggi l'Inter e il Milan è ovvio. È facile da capire, dispiace tanto, ma sul piano tecnico non credo sia così lontano.
Sul piano di come creare una squadra che funzioni bene sì, sia lontano. Se il Milan fa 3, 4 innesti giusti che riequilibrano un po' la cosa e che diano una logica al gioco, che non c'è, perché non c'è da tutto l'anno, allora si può sperare di avere una squadra vera. Adesso questa non lo è, invece l'Inter lo è, una squadra competitiva, che sa sempre cosa fare, che ha una chiara identità. Noi no, non abbiamo un'identità, anzi, c'è ne sono state 100 di identità in questa stagione, e nessuna alla fine è stata giusta. Perché non si può con questi giocatori, come sono stati presi e farli giocare, avere una chiara identità. E questo, voi e anche tanti di noi, lo abbiamo capito dall'estate. Si è capito dall'estate e poi si è dimostrato purtroppo che è vero".
Facciamo un passo indietro, a Giugno 2019 quando diventi dirigente del Milan. Che ricordi hai? Comprate tanti giocatori, che poi sono stati artefici dello scudetto...
"Io lascio la FIFA, Paolo mi chiama quando Leonardo è andato via. Il mio lavoro alla FIFA era abbastanza completato [...]. Paolo voleva andare via, gli dissi: 'Sei più tu Milan del Milan che c'è oggi, non puoi andare via'. Così sono partito per Milano, Paolo era incerto se restare o no, io ero felice ovviamente di tornare nella società che amo profondamente. Non sono nato milanista, ma lo sono diventato. Ho un grande rispetto per la classe soprattutto, la particolarità di questa società, che ha qualcosa di diverso rispetto a tutte le altre che ho conosciuto. E lo dico non perché ci ho giocato, ma perché è vero. Torno, mi rendo conto che la squadra va cambiata tutta e di fatto in sei mesi abbiamo cambiato 13 giocatori. Era chiaro che non eravamo completi, infatti dopo il mercato dico in un'intervista che i bimbi da soli non possono giocare. E in società erano abbastanza incazzati. Ma ho dovuto dirlo perché era giusto cosi, non potevano crescere da soli e infatti a gennaio prendiamo Kjaer e Ibrahimovic, due innesti fondamentali per tutto il viaggio verso lo scudetto. Io lascio due mesi dopo per le ragioni che più o meno i milanisti sanno. Senza quei due, soprattutto senza Ibrahimovic, nulla sarebbe stato creato di quel Milan che va verso lo scudetto e anche verso un'identità che Pioli, pur con tante cose sulle quali non ero d'accordo, comunque con carattere e certi valori è riuscito a inculcare".
Ma quando iniziano i problemi? Quando ti accorgi che c'è qualcosa non va? "Dall'inizio. Già con Paolo quella volta a casa quando mi hanno raccontato l'idea di come funziona mi sono detto: «Allora dobbiamo lottare contro la nostra proprietà per il bene del Milan». E Paolo mi fa: «Più o meno». Non è che non sapessi prima di entrare che certe culture o certe non culture non sarebbero state un problema per noi nel nostro lavoro. L'ho accettata come una sfida grande, per me è finita presto ma rifarei tutto perché andava fatto. Già ad agosto mi hanno tolto il potere di firma senza dirmelo, stranamente. A tutti quelli che vogliono sapere come sono andate le cose dico, leggete l'intervista di Paolo Maldini a 'La Repubblica': quella è sacrosanta verità. Poi ci sono tanti dettagli brutti, ma non carichiamo la gente di tante piccole storie inutili e di cattiverie ridicole e di paletti messi nella maniera assurda. Ci avevano messo un certo Hendrik (Almstadt, ndr) che non so cosa ne capisce lui di pallone che doveva avallare quello che facevamo come un controllore tecnico a Maldini e Boban. Se pur per pochi mesi sono orgoglioso di quello che abbiamo fatto. Si è dimostrato non col mio lavoro, ma con Paolo e Ricky bravissimi nonostante le difficoltà a creare un grande cammino che il Milan ha avuto e poi si è vinto lo scudetto. Io avevo firmato un contratto di tre anni, loro avevano offerto anche 5, e doveva essere: il primo di pulizia, il secondo di stabilità e il terzo di competitività. In tutte le attività del mondo ci vogliono tre anni, figurati in un club come il Milan: è il minimo. Ma loro dopo tre mesi ci hanno quasi delegittimato con una 'imboscata' come l'ha chiamata Paolo. Ma funziona così, il fondo funziona così: se compro a 10 domani deve valere 15, non c'è logica, non è gente di calcio. Non è cattiveria, è che non capiscono di calcio".
E tu in qualche modo lo hai detto nella tua intervista del Febbraio del 2020. Ci sono tre concetti chiave: ambizione, milanismo e italianità
"Io ho detto de-milanizzazione, quella era la paura. Ed era chiaro che si volesse far perdere quella forza di voler appartenere. Perché è un'emozione troppo grande per qualcuno che vuol controllare diversamente la cosa. 'Always Milan': che c***o vuol dire? Tutto il mondo sa cosa è il Milan, loro hanno messo 'Always Milan' anche sul pullman. Per favore… Ovvio che dà fastidio, appiattisce, ti fa diventare quasi un robot, una roba distante. L'idea è quella, che i tifosi diventano clienti, i giocatori diventano asset. E via così, questa è la loro via".
C'è qualche giocatore che tu e Paolo volevate prendere e vi è stato impedito?
"Personalmente sono andato a chiudere Dani Olmo a Sistiana. Non hanno voluto farlo, era Gennaio del 2020. Era tutto accordato, si doveva magari alzare qualcosa, ma era un affare da 18 più 2. Il ragazzo non chiedeva nemmeno troppo ma dopo si doveva pagare qualcosa di più e alla fine non ho avuto nessuna risposta, quindi era chiaro che era un no. Non ho potuto spingere avanti. Poi abbiamo preso anche Szoboszlai, era tutto accordato: 20 milioni della clausola col Salisburgo. Anche lì negato e mi son detto: «Ma che roba è?» poi ho cercato di vederli e non ci hanno voluto vedere per due mesi e ho dovuto così fare quello che ho fatto. Per qualcuno è arrivata come improvvisa, la cosa, ma invece non è stata improvvisa. Ma io non è che potessi ogni giorno dire le cose pubblicamente o spingere per riceverci per un chiarimento che non è arrivato. Perché era accordato che tutto quel che vendevamo sarebbe stato reinvestito: quindi avevamo quasi 50 milioni da Suso e Piatek, questi due (Olmo e Szoboszlai) sarebbero arrivati al posto di quei due. Con Paolo abbiamo scelto insieme. Su Olmo non ero certo all'inizio perché aveva in campo una posizione abbastanza strana, il suo ideale era dietro la punta ma la nostra idea di gioco era il 4-3-3, ma anche il 4-2-3-1 che poi abbiamo visto, in quel caso era ideale farlo giocare là perché per me Çalhanoğlu non poteva farlo. Lui è un playmaker, un 8, ma non un 10. Perché non fa l'uno contro uno e non ha velocità. Infatti alla fine con Brahim Diaz in quella posizione si è fatto di più. Szoboszlai si chiude a Innsbruck, Paolo non era andato perché aveva paura che lo riconoscessero. Maldini è Maldini, è un'icona diversa, dove vai vai lo riconoscono. Quindi Ricky e io siamo andati col papà di Szoboszlai e il suo manager. Avevamo chiuso, il ragazzo voleva venire subito, anche qui negato. Ho dovuto dirgli: «Guarda, vediamo per l'estate» . Lui delusissimo, voleva venire subito al Milan. Che non è un grandissimo giocatore, ma un ottimo giocatore. Olmo potenzialmente sì, è già un grande giocatore. Szoboszlai, che crede di essere un 10, nella mia testa era un 8 e alla lunga può diventare un grandissimo play".
Sulla cacciata di Maldini, cosa ne pensi?
"Una pagina vergognosa, fatta in maniera vergognosa. Indecente, inaccettabile e potrei dire altre mille cose brutte. Ma soprattutto inspiegabile anche per loro. Per loro Paolo rappresentava forse l'ultimo degli ostacoli per fare quello che volevano. E tanto ha inciso il fatto di Tonali, Paolo non l'avrebbe mai lasciato andare. Siamo davanti a 70 milioni di differenza, non so quanti più o meno. Tanti soldi ma che non dovevano mai venire al Milan come Tonali non doveva andare via dal Milan. Perché il ragazzo è milanista. Quando li avevamo contattati l'anno prima mi disse che non sarebbe mai andato alla Juventus e all'Inter. Paolo e Ricky lo prendono veramente a una cifra super per un giocatore così. Lui al primo anno era irrigidito dall'amore verso il Milan, dal rispetto verso lo stadio e tanti si sono fatti domande. Mio papà mi diceva: «Ma guarda, ha paura di giocare». Era vero, ma date le potenzialità necessitava di un anno di rodaggio e di respirare come un giocatore libero. Prima non era libero, era troppo milanista. Lasciare un simbolo così, poi dopo lo scudetto, dopo tutto quello che ha fatto e come l'ha fatto. Manca qualcuno che in certi faccia qualcosa di diverso".
Parole che non lasciano spazio a interpretazioni, quelle di Zvone Boban. Con lucidità e amarezza, l’ex dirigente ha raccontato un pezzo importante di storia recente rossonera. È il grido di chi ha amato profondamente il Milan e ha provato, nel suo breve tempo in società, a riportarlo dove merita.
Il filo conduttore delle sue parole resta sempre lo stesso: il valore umano e sportivo di Maldini e la convinzione che un pezzo di milanismo sia stato messo da parte, forse troppo in fretta.
a cura di Alessio Uberti